lunedì 25 febbraio 2013

CENA CON SERVIZIO TAXI INCLUSO


È tranquillo giovedì sera, umido e freddo, ci sono poche prenotazioni al ristorante, traccheggio un po’. Poi cominciano le telefonate...
“sabri veniamo su con alcuni clienti, vorremmo far loro assaggiare un po’ dei nostri vini..”
L’enologo svitato con il suo amico distributore di vino, che non è una macchina a forma di pompa di benzina erogante alcol, bensì un giovanotto in carne ed ossa, arrivano su con 4 persone al seguito e un bel cartone di vini.
Bene, sono contenta quando i produttori/distributori/quant’altro salgono su con i loro vini: ci sarà di sicuro qualcosa da assaggiare pure per me.
“sabri appena hai un minuto vieni a sentirti questo prosecco: è profumato ed ha un prezzettino coi fiocchi”
“arrivo, fatemi prima sentire al tavolo 4 se hanno bisogno di qualcosa”
passano pochi minuti, ma il prosecco è già pro-seccato. Vabbè posso sopravvivere a un bicchiere di bollicine della Valdobbiadene. Cercherò di non perdermi il resto, sennò addio divertimento
La serata si movimenta, l’enologo si infervora sui Pinot Nero di Toscana, ammette di amare Bolgheri, ma confessa che lui il Cabernet in Toscana non ce l’avrebbe messo, piuttosto avrebbe tappezzato la costa -dalla Maremma in su- col syrah…terreni sabbiosi. Difendo il pinot nero dell’Appennino facendogli notare che lui sta tirando fuori un piccolo Hermitage nella campagna lucchese.
“Fai la cuccia tesoro..” concludo.. e mi accaparro un goccetto di quel syrah proprio ben fatto.
Dei 4 clienti seduti al tavolo con il bel wine maker, due sono un Lui con la sua Lei, una ragazza molto carina ma vagamente stucca..
La cena procede, gli assaggi pure, poi la ragazza si adombra; la coppia inizia a discutere, sempre più animatamente, l’enologo furbo e automunito se la svigna con la prima scusa che gli passa per la mente. Per fortuna lascia tutti i vini, ho pensato io. Il litigio si sposta fuori della porta del ristorante, poi più giù nel parcheggio, poi in auto e poi più dove non so. Morale: tra i due litiganti, il terzo (ovvero il distributore di vino) e il quarto (un possibile cliente) sono lasciati a piedi al ristorante sull’ebbro colle di Doccia.
Ho riso fino alle lacrime insieme ai due abbandonati per litigio amoroso, che si sono offerti di aiutarmi a sparecchiare in cambio di un passaggio verso casa.

Al Maccherone, la prima cena con servizio taxi incluso.

giovedì 21 febbraio 2013

TERRA!



“Dentro un raggio di sole che entra dalla finestra talvolta vediamo la vita nell’aria. E la chiamiamo polvere” (Benni)
* * *
“scusi cameriere c’è della terra nel mio piatto!”
“guardi non le stiamo rifilando una sòla, bensì le stiamo proponendo il menù del suolo: piatti realizzati con terriccio”
quando si dice Terriccio Universale..
Succede a Tokyo, dove lo chef Toshio Tanabe ha ideato e realizzato una serie di ricette il cui ingrediente protagonista è la terra, si si quella che calpestiamo, esattamente lei. È proprio il caso di dire che mangiare la polvere non è mai stato così trendy, costoso e forse pure gustoso. Il terriccio, afferma lo chef, è biologico e “pulito”, in quanto raccolto a estreme profondità in terreni montani “non inquinati” a nord di Tokyo. Speriamo non nella direzione di Fukushima..
La terra è poi adeguatamente processata per essere resa edibile. Step finale la miscelazione dell’estratto terroso con gelatina per ottenere una sorta di fango dai molteplici utilizzi. In realtà l’idea di cibarmi di fango non mi fa storcere il naso, e benché di fanghi ne abbia sperimentati un gran numero, mai per uso orale però, per lo più erano fanghi snellenti e maschere all’argilla e affini.
La sensazione che ho in mente è diciamo un po’.. polverosa.
Tuttavia il nuovo che avanza in cucina non mi spaventa, mi incuriosisce. Mi fanno innervosire quelli che udita la notizia se ne sono usciti con commenti come “non sanno più cosa inventare”, “110 euro, cara quella mota..”, prendendosi gioco del lavoro e dello studio altrui.
Nel mondo del vino ormai tutto ruota intorno al concetto di terroir, potremo dire scherzosamente che Toshio Tanabe il terroir ce lo serve fisicamente sul piatto.
Per quel che mi riguarda, mangio tutto ciò che mi provoca salivazione e se un sorbetto di terra avesse questo effetto non esiterei a trangugiarlo. Poi naturalmente ci sono cibi che scelgo di non mangiare, non per scetticismo o per diffidenza verso quelli che finora erano considerati non-cibi, ma per una mera questione di gusto, consistenza, repulsione visiva, odore e talora motivi affettivi. Ad esempio le vespe e le formiche, il durian, per il quale ho già dato, la carne di cane e cavallo e perfino la prelibata ostrica.
In fondo in passato lo scetticismo nei confronti di nuovi ingredienti in cucina ha coinvolto cibi che oggi son di largo uso, basti pensare al pomodoro, ritenuto per lungo tempo velenoso, o la melanzana, il cui consumo, secondo alcune credenze popolari, poteva portare alla pazzia. O il caso della patata, dopo quasi tre secoli dal suo arrivo in Europa, era ancora trattata come pianta ornamentale e vista con diffidenza in cucina, perché ritenuta portatrice di malattie. Pensa tu, 1800 anni senza le patatine fritte..
Al momento il Giappone è un po’ lontano, per i miei tempi stretti e per le mie tasche, pertanto spero in una visita dello chef nel Bel Paese, per portare la sua esperienza “terrena” fino a noi.

Tratto da TERRA! Di Stefano Benni
CHEZ LES CREATURES
“Tutto quello che si può mangiare in questa galassia noi ce l’abbiamo”, diceva modestamente l’intestazione del menu.
“i signori desiderano?” chiese il cameriere
“non so ci aiuti lei, è difficile scegliere in un menu di sessantamila  portate”
“se permettete signori vi consiglierei le minestre misteriose. Sono buone ed è emozionante non  sapere cosa ne salterà fuori. Per secondo piatto, se siete robusti, potrei portarvi un propus venusiano”
“perché occorre essere robusti?”
“date un’occhiata al tavolo di fianco”
Al  loro fianco  infatti due russi panciuti stavano scoprendo una zuppiera dalla quale usciva un buon odore di bollito. Il primo russo infilò una forchetta, ma dalla zuppiera uscì un tentacolo azzurro che lo afferrò per  la testa e lo tuffò dentro al brodo tenendolo sotto. Due camerieri intervennero e con una coltellata liberarono il cliente. Ci provò l’altro, ma il propus, un incrocio tra un polipo e una medusa, usci dal piatto e ingaggiò una lotta corpo a corpo, tra schizzi di sugo e urla del russo, che alla fine mezzo strangolato dai tentacoli urlò: “la frutta, voglio la frutta!” 

sabato 16 febbraio 2013

IDENTITA' GOLOSE E IL VALORE RIVOLUZIONARIO DEL RISPETTO


Al rientro dalla trasferta milanese in occasione della nona edizione di Identità Golose mi accingo a disfare la valigia colma di idee, stimoli e qualche brochure. Prima di partire discutevo con alcuni colleghi ristoratori che stavolta hanno disertato il congresso, che esprimevano commenti fin troppo disillusi del tipo: “non ho più voglia di ascoltare della filosofia”, “tutti quei bei discorsi, in questi tempi bui mi suonano come aria fritta..”
Parole che mi si sono stampate in testa, che mi han fatto pensare durante tutta la kermesse, e ora a congresso finito provo a riordinare le idee.
Il Valore Rivoluzionario del Rispetto, il tema centrale di questa edizione; non solo rispetto per la natura, per le materie prime e per la tradizione, ma anche rispetto per il cliente, e vivaddio rispetto per il lavoro del cuoco e collaboratori. E poi il rispetto per noi stessi e come affermava giustamente Paolo Marchi, il rispetto per la verità che non è solo la nostra, a maggior ragione in cucina “dove lo scambio è continuo e globale”.
Ma ha davvero senso parlare di rispetto ai tempi della crisi o è aria fritta come paventavano quei miei colleghi?
Si ha senso, eccome, e non perché lo dico io, ma perché gli interventi che si sono susseguiti nelle varie sale lo hanno ampiamente dimostrato.
Il rispetto dell’ingrediente, ma più rivoluzionario ancora il rispetto della tradizione gastronomica, è stato l’aspetto centrale, quasi sempre accompagnato dal rispetto per le tasche del cliente, sempre più vuote ai tempi della crisi. Ma facciamo degli esempi.
Risotto alla parmigiana classico arricchito da un’esplosione di sapori derivanti  da una manciata di polvere di lenticchie tostate; scaloppina al limone ma con carne di vitello cruda: di aria fritta neanche l’ombra, solo capperi fritti per dare croccantezza. Carlo Cracco.
Ma ai tempi della crisi rispetto per la materia prima e rispetto per il cliente e per i suoi soldi è anche il non buttare via niente, che non significa mangiarsi un pomodoro acerbo dell’orto a fine stagione, perché ormai manca il calore per una giusta maturazione, ma usare quel pomodoro verde per estrarne dell’acqua la cui componente acidula sarà preziosa per realizzare marinate, fare aceti, vinagrette, sorbetti. Bravo David Kinch. O ripensare uno chateaubriand come un filetto di sedano rapa anziché di carne e trattarlo alla stregua del pezzo più pregiato dell’intero manzo. Costo del piatto quanto mai contenuto. Chef Scabin mi vuoi sposare?
Ma il vulcanico chef di Rivoli va oltre, e arriva fin su nello spazio e lo fa con 300 pasti commissionati dalla NASA per gli astronauti che si lanceranno nello spazio il prossimo giugno. Space food è davvero un menù “stellare”: parmigiana di melanzane, risotto al pesto, lasagne, verdure al salto, tiramisù. Disidratati e confezionati in buste sottovuoto da reidratare al momento dell’uso. Cibi il più integri, profumati e accattivanti possibile, per risollevare il morale degli astronauti costretti in solitudine per mesi. E se questa è filosofia io mi chiamo Claudia Schiffer.
Nel concetto di rispetto per la materia prima è insito pure il rispetto per chi la produce, per quegli artigiani del gusto che dedicano fatica e sudore a produrre quel formaggio, quel salume o quell’olio straordinario.
Non solo: se all’Osteria Francescana troviamo in carta il cotechino, cotto a vapore nel lambrusco, accompagnato dalla sbrisolona in un Viaggio da Modena a Mirandola, qui il rispetto si fa aiuto concreto verso quei prodotti e quelle popolazioni colpite dal terremoto. Un piccolo contributo se effettuato da un singolo, ma grazie anche a questo congresso il messaggio si fa mondiale. .. ecco l’importanza di essere qui, nel periodo del grande freddo.
Infine, il sogno, quello che forse intendevano i miei colleghi con la parola filosofia: affinché il gelo e la paura del futuro incerto non blocchino i nostri cuori, non intorpidiscano la passione che ci motiva ogni giorno, c’è bisogno del sogno più che mai. Hai ragione Massimo Bottura.

In conclusione la speranza è quella che quei miei colleghi dubbiosi l’anno prossimo decidano di non ridisertare l’appuntamento milanese e sfidino con me la tempesta di neve che matematicamente accompagnerà anche la decima edizione di Identità Milano..

domenica 10 febbraio 2013

BATTIBECCO AL RISTORANTE



Il titolo si ispira a una rubrica che compariva nelle prime pagine de La Cucina Italiana qualche anno fa. Nico e Danda, i due protagonisti dialogavano seduti alle tavole di ottimi ristoranti d’Italia e non solo.
Io invece oggi son qui seduta in un gradevole ristorante del centro fiorentino, per una colazione di lavoro. Ad essere sincera io di solito o lavoro o faccio colazione, mai le due cose insieme, ma l’idea di lavorare con le gambe sotto un tavolo apparecchiato mi piace parecchio, pertanto evviva tutte le colazioni di lavoro che mi verranno proposte. 
-perché stai impilando i piatti a lato del tavolo, c’è il cameriere per questo
-come è che si dice..deformazione professionale, solidarizzo con la categoria, insomma cerco di dare una mano, è sbagliato?- faccio con tono un po’ preoccupato..
-Si lo è
Eccoci. E penso, questo bel signore con cui sto colazionando/lavorando, la cui tempia brizzolata tradisce una certa età ben camuffata dall’abbigliamento casual finto trasandato..sta per attaccare una tiritera atteggiandosi a saccente..scommetto che vuol far colpo..
..e invece articola un discorso lineare e condivisibile: -vedi, questo gesto verrà interpretato dal personale di sala come una loro mancanza, un compito che avrebbero dovuto svolgere loro, ma che invece hai fatto tu cliente, facendogli così notare una loro lentezza o distrazione o dei tempi di attesa troppo lunghi.
-ma dai?
-si perché se tu senti l’esigenza di spostare il piatto a un lato del tavolo significa che quel piatto ti disturba, che hai una sorta di fastidio
-addirittura? E io che pensavo di fare un  gesto carino..mhm (quando succede a me, al mio ristorante, di avvicinarmi al tavolo dove hanno già raccolto i piatti io non mi sento offesa per niente, anzi..).
Parliamo di lavoro, di alcuni progetti da realizzare, della noiosissima tempistica di realizzazione ecc, ma la faccenda dei piatti ancora mi ribolle in testa: - quindi non pensano che io abbia sbagliato locale, che sia una sempliciotta da pizza al circolino o una massaia profondamente calata nella parte, cui tocca inesorabilmente il compito di sbarazzare la tavola..?
-no tutto il contrario, si sentiranno rimproverati da te, non aiutati. Tace per qualche istante, poi riprende: -se tu chiedessi gli stuzzicadenti al tavolo, bè allora si che penserebbero che la signora è entrata nel locale per sbaglio.
Questa la so anche io caro il  mio buon zietto di mezza età, medio spettinabile, qui non mi cogli impreparata.., penso con una certa soddisfazione… E dato che ti mostri così ferrato in fatto di buone maniere a tavola, mi aspetto che all’uscita tu mi porga il soprabito, che tu esca per primo per poi tenermi la porta e soprattutto che sia tu a saldare  il conto! E speriamo che tu non mi legga nel pensiero.. ;-)

venerdì 8 febbraio 2013

SCARPETTA SI SCARPETTA NO


-Non puoi proprio farne a meno eh?
-Ma dai, cosa vuoi che sia e poi non mi ha visto nessuno
-Che hai fatto la scarpetta nel piatto se ne accorgono anche senza averti visto
-Dico io, ma che male c’è a rompere del pane con le mani e proseguire l’operazione strisciandolo sul piatto sugoso? Certe pietanze non possono prescindere dalla scarpetta. Vuoi che te ne elenchi qualcuna?
-Certe cose che si fanno comunemente in ambiente domestico diventano improvvisamente interdette al ristorante, Sabri tu che sei del mestiere dovresti saperlo meglio di me..questione di etichetta
-E io invece dell’etichetta c’ho il bollino beh allora? e poi quando sono al ristorante (il mio intendo) e riporto in cucina piatti lucidati a festa sono più che soddisfatta: il cliente ha gradito non c’è dubbio
-La cosa è un po’ più articolata se mi permetti –ribatte la Marta (e io penso che con l’invecchiare stia diventando più rompiscatole di me), -però passi l’utilizzo delle mani, in fondo tante pietanze anche raffinate si mangiano con le mani ed è pure altamente sensuale
-Fare la scarpetta con la forchetta ha del ridicolo, anche se è l’unico tipo che il Galateo ammette..e poi lo dice anche Gualtiero Marchesi (qui) che le regole del Galateo a tavola andrebbero riviste e alleggerite. Ti dirò di più: a mio avviso fare la scarpetta è un dovere morale, contro ogni forma di spreco del cibo..soprattutto lo spreco di intingoli ad alto valore gustativo!
-Ho letto degli studi di un tale professore dell’università di Bristol (Len Fisher vedi qui e qui) che ha fatto prove sperimentali per individuare il miglior pane per fare la scarpetta e prova a indovinare? Il miglior pane risulta essere la ciabatta
-La ciabatta per fare la scarpetta..sembra quasi uno scherzo

Note a piè pagina
  • Io la scarpetta la faccio se il sughetto mi piace, non per questioni etiche, ma per pura gola. Del resto ci sono popolazioni il cui galateo ammette il rutto a fine pasto quale indice di sazietà e godimento, e vuoi che io mi privi del piacere di ramazzare la salsina sul fondo del piatto?
  • Se le mani si ungono uso il tovagliolo, comunemente presente su una tavola apparecchiata. Se questo non basta uso il bagno per lavarmi le mani.
  • Evito di leccarmi le dita: lo faccio solo in certe occasioni, corredato da sguardo languido puntato dritto negli occhi di un fortunato Mr X..  ;-)

venerdì 1 febbraio 2013

SHOPPING CON BRIO


Odio i saldi. Non riesco mai a trovare uno straccio di vestito che mi vada bene. La Marta invece trova sempre la maglietta firmata che le calza a pennello o l’accessorio perfetto, e ci azzecca pure con i groupon. Ha il fiuto di un cane da tartufo. Solo per lo shopping purtroppo.. coi maschietti è già tanto se ne individua qualcuno dotato di pollice opponibile.
Mi lascio convincere ad accompagnarla per negozi, e poi c’ho voglia di fare due passi per il centro.
Qualche acquisto interessante (di lei) in via del Corso e qualche cianfrusaglia per me tipo una zuccheriera in ceramica a forma di uomo/marito paffuto recante sulla pancia la scritta “sono dolcissimo”.
“Sabri ma tu il caffè lo prendi amaro, che te ne fai di una zuccheriera?”
“Un marito così tenero lo trovo solo in porcellana”
“Se penso che c’è chi si lamenta della difficoltà di trovare qualcosa di diciamo consistente, solido, azzarderei dire duro..”
“Che signora!”
Ascoltiamo qualche minuto di musica peruviana in piazza della Repubblica e poi di corsa a curiosare per le vetrine di via Tornabuoni e contrade.
Unica sosta al Caffè Florian: tanto per quelle strade piene di negozi griffati un caffè è tutto ciò che ci possiamo permettere. Anche un paio di cioccolatini a cranio a dirla tutta. Ci sediamo incuranti del possibile sovraprezzo del caffè; non sarà mai caro come quella cioccolata che io e la mamma ci siamo concesse prima di Natale comodamente sedute in via Tosinghi (lo so che equivale ad aver fatto nome e cognome, ma quando ci va ci vuole).
Al banco c’è un tipo che sorseggia qualcosa, ha l’aria del divo di Hollywood in vacanze romane..
“l’hai visto il Gregory Peck al banco?”
“così tondo come un culatello pare più Gregory Speck”
“e vincerebbe l’oscar per Il Buio oltre le Seppie..hahaha”
La scorzetta d’arancia al cioccolato mi va di traverso per il ridere e lo interpreto come un avvertimento perché ho infranto per l’ennesima volta il mio fioretto anti pralina.
Mi resta ancora il secondo cioccolatino, quello al rum: un altro monito così e soffoco sul serio.
“sabri ti ho raccontato dell’altra sera?”
“non ancora, vai..”
Dell’incontro con tale Gio’ del Chianti vi racconto un’altra volta.