lunedì 27 febbraio 2012

SE IL CLIENTE E' IMPAZIENTE..

La scena mi si ripropone ogni domenica..una processione di persone che arrivano tutte alle una, nemmeno a darsi appuntamento sarebbero così puntuali. Ma sbaglio o gli avevamo dato un orario di arrivo al momento della prenotazione? Niente da fare, le tredici, l’ora del desinare e del desio (per me), l’orario non flessibile per antonomasia. Tutti si siedono in contemporanea, qualcuno ci impiega di più se reca con se la prole..ma è questione di minuti.. alle una e cinque tovagliolo spiegato e forchetta in mano. E sorge il primo problema: da chi comincio a prendere le comande? E in quale ordine procedo? Seguo il criterio della simpatia o quello del primaglischiacciaballe? In genere vado a naso, fortuna che ce l’ho così sviluppato (finalmente la rivincita di noi narigudi).  Mi avvicino al primo tavolo: “prego signori, ditemi pure..” e subito quelli del tavolo accanto: “mi scusi signorina, c’eravamo prima noi!”
“Perdonatemi sono subito da voi!”
Quelli del tavolo alla finestra mi fissano di continuo pensando: ma questa è cieca  o ci fa, perché non viene anche da noi? A tali sguardi insistenti mi verrebbe di rispondere andando al tavolo a chiedere loro se mi considerano una bomba sexy dal momento che non mi tolgono gli occhi di dosso.
Dalla cucina mi prendono in giro: altro che bomba, sei un bombolone sexy, quasi un krapfen.. e io ci manderei loro in sala.
Poi ci sono quelli che con la scusa del bambino tentano di passare avanti; quelli che quando gli lascio il menu sulla tavola mi braccano: no no noi sappiamo già, non vada via..anzi ci dica lei, cosa c’è di buono oggi? Ma non vedono che c’ho da fare a mille? Cosa gli costa leggere 20 righe..
Per fortuna c’è pure qualcuno che si gode l’attesa conversando.
In fondo non si va al ristorante tutti i giorni, ed ogni tanto è bello godersi qualche ora di  svago in compagnia di parenti o amici, seduti ad un tavolo, per cui siate pazienti, e ben venga se una domenica ogni tanto, anziché pranzare in mezzora ci impiegate due ore.

venerdì 24 febbraio 2012

TRIBUTO CULINARIO A BERGONZONI, QUASI UNA PROPOSTA DI MATRIMONIO

Questo post è stato scritto al termine dello spettacolo “URGE” , senza l’aiuto di alcol né di altre sostanze allucinogene, ma sotto l’effetto stupefacente di due ore di calembour.                        
URGE vastità, URGE pensare in grande ed ecco fatto pronto in tavola, ma non surgelato, un tributo a te grande  Alessandro o meglio magno che in questo caso mi pare più appropriato.           
(legenda: A= Alessandro; S= sottoscritta)
A: Hai detto pronti in tavola?
S: Per Karité! Non sia mais.. io aborro i 4 salti in barella e il minestrone della valle dei morti
A: Vabbè dove c’è barella c’è casa
S: Dai Alessandro, non mi guardare con quella faccia da Bergonzola.. ti voglio più rock, più forte, insomma più roquefort. Del resto per dirla con parole tue “il formaggio con le pere è femmina?”
A: Cosa? Ma non mi prendere per il culatello, lo sai che non voglio essere lo Zibello di tutti. Meglio fare il salame, almeno fa la sua figura tra due dame..
S: Ecco lo sapevo, è inutile che mi faccia il Sangue di Giuda, tu sempre quello stai a pensare.. e all’uva passerina che vorresti vinificare.
A: Guarda che la passerina è parecchio bon..arda..
S: Per forza, sta sempre a fare sport per rassodare il glutine
A: Parli così perché crepi di indivia!
S: Come hai detto? Puoi ripetere che non ho capito una segale?
A: Lascia stare scendo al bar della strada, fanno un succo di ANAS direttamente importato dal tropico del granchio: grande sapidità e finale di goudron come direste voi fissAIS..
S: Niente gelato?
A: “Il gelataio ha smesso di fare il gelato da  un po’ perché ormai non ci trovava più nessun gusto”
E allora URGE, urge che stasera s’ushi insieme, a braccetto come una coppia ferrarese, annodati a metà, intimamente uniti come whisky and soda e che s’oda per cantine e osterie: versaci un rosso! Come rosso è l’amore tra me e the, tra donna e uovo, e se c’è l’uovo ma senza il rosso, la cosa mi appare chiara: sto bevendo un vov.

mercoledì 22 febbraio 2012

QUANDO SI DICE UN LUNEDI’ FRIZZANTE

Abate Nero Trento Brut
Ettore Germano Alta Langa Brut 2006
Bosio Franciacorta Brut
Berlucchi Cuvée Imperiale Rosé Max
Bellei Brut Cuvée Speciale 2004
Picchioni Oltrepo’ Pavese Brut Nature Profilo 1994

La nostra incursione nei Metodo Classico italiani è stata breve ma intensa direi. Esordio davvero interessante con il bel Abate Nero, un cento per cento chardonnay, fresco, deciso, schietto che quasi quasi gliele suona al langa doc che lo segue. Quasi una sfida mettere in sequenza  la prima doc spumantistica italiana con l’ultima nata, con chi, come Luciano Lunelli, spumantizza da 40 anni e chi da poco meno di dieci, anche se si chiama Germano, che non è poca cosa. E’ il primo alta langa che assaggio, troppo poco per proferire parola.
I franciacorta arrivano aggressivi, sparati in bocca: forse si sentono accerchiati. Tagliente Bosio, quasi feroce la bollicina che indubbiamente ci scuote il palato dopo l’insalata di fagiolo coco nano e soprassata. Grazioso e invitante nella  sua  tonalità rosa antico il Berlucchi, più dolce al naso, un concentrato di fragolina di bosco, lampone e gelatina di frutta, ma che in bocca irrompe con un’effervescenza mascolina, quasi risentita (forse in risposta a chi in sala ha osato dargli di femminile..ma era tutt’altro che un’offesa!)
Una bella fetta di lasagne broccoli e pecorino e via che si riparte con Bellei.
Del resto il panorama dei metodo classico italiani non può essere esaustivo senza  citare Francesco Bellei, colui che per primo spumantizzò col MC in terra di Lambrusco.  Un grande fu… anche se  queste due bottiglie lo furono un po’ meno. Non mi do per vinta, non mi dimentico gli ancestrale e tutto il resto che ho assaggiato a Dozza..
Infine l’osannato Picchioni: abbiamo osato con un 1994, e chi troppo osa non si sposa. Il proverbio l’ho coniato sul momento e mi pare azzeccato. Insomma della serie don’t try too hard.
La serata è stata divertente e i vini comunque interessanti. Ringrazio per questo l’amico Simone, valido collaboratore e miss BB, per la nota di burro e non solo.. e lunedì si replica.

domenica 19 febbraio 2012

GIOVEDI GRASSO " A CASA"

Barbara Bonaccini

Che strana, emozionante sensazione ho provato giovedi scorso tornando a varcare la porta dell'Hotel Excelsior di Piazza Ognissanti.
Avevo deciso di festeggiare il mio Giovedi Grasso partecipando al God Save the Wine, il festival vinoso organizzato dal mio amico Riccardo Charini di Promowine e da Firenze Spettacolo.
Location: l'Excelsior appunto, che ho frequentato per almeno tre anni come sommelier Ais. 
Appena superata la porta girevole all'ingresso, salutata educatamente dall'immancabile baldo giovanotto  con la tuba ( pur sempre di un 5 stelle si tratta) ho avuto la sensazione di un ritorno "a casa" e ho ripensato a tutte quelle volte che, ormai sommelier mentre andavo a dare una mano ai corsi, entravo e uscivo da quell'ambiente elegante e sfavillante con estrema disivoltura salutando gli addetti alla concierge o il maitre come se li conoscessi da sempre.
E che strano effetto poi ritrovarsi a degustare i vini delle aziende presenti proprio nella sala che per un anno è stata la mia aula; specchi e pareti che mi hanno vista avvicinarmi entusiasta, ma anche titubante, dubbiosa al vino. Qualche volta anche sconsolata quando allargavo il mio nasone nel bicchiere e nonostante tutto non riuscivo a sentire quei profumi che il relatore di turno trovava nel vino. E con i gomiti appoggiati sui tavoli di quella sala, mi ripetevo che "non c'avevo naso, non ci capivo nulla e che non sarei mai uscita da là dentro con il tastevin appuntato sul petto".
Il caso ha voluto che là dentro facessi anche il mio esame e che invece uscissi trionfante da quelle porte dorate.

Fra i tanti ottimi vini presenti alla degustazione del God Save the Wine, sull'onda delle sensazioni suscitate dal mio "ritorno alle origini" mi hanno particolarmente colpito i Chianti del Podere Palazzino. Azienda di Monti in Chianti, presso Gaiole, utilizza solo vitigni autoctoni.
Pulizia di profumi, franchezza, estrema riconoscibilità del Sangiovese chiantigiano nell'Argenina, il "vino base" ( ...mi è scappato anche se tutte le volte mi riprometto di non chiamarli così); materia che promette bene sulla filosofia produttiva dell'azienda. E l'assaggio della riserva La Pieve, lo conferma: riconoscibilità del vitigno nei profumi e al gusto, beva non stancante e una buona persistenza.
Sono proprio curiosa di riassaggiare tutta la gamma. Meno male che l'Anteprima del Chianti Classico è ormai alle porte...



venerdì 17 febbraio 2012

THE TULIP: IL VINO AL BICCHIERE...DI PLASTICA

La più grande innovazione dopo il bag in box, secondo la Wineinnovations Ltd che ha firmato questa novità. Ovvero 187 ml di vino confezionati in un bicchiere di plastica (un calice), chiuso ermeticamente da una linguetta metallica, come quella utilizzata per i vasetti di yogurt (anche se il Tulip assomiglia di più a una coppa Malù..)
The Tulip, la cui visibilità e volume di vendite hanno subito un’impennata dopo la partecipazione nel 2009 allo show televisivo della BBC Dragon’s Den, è già presente il due linee: The Italian Job (nelle versioni rosso-sangiovese/merlot, bianco –sauvignon blanc- e sangiovese rosé) e Le Froglet (shiraz francese, chardonnay, rosé).
Dopo che la notizia è apparsa qui, si sono scatenate le polemiche dei lettori, tutti accomunati dallo sdegno per il vino nella plastica. Aperta parentesi: a Firenze mi capita spesso di imbattermi in locali che dopo una certa ora ti servono il vino nei bicchieri di plastica (e non sono certo dei calici), se manifesti l’intenzione di sorseggiarlo appena fuori della porta di ingresso. Chiusa parentesi.
A mio avviso ci sono due aspetti che giocano a favore di questo prodotto.
Innanzitutto è geniale l’aver previsto un contenitore monouso per il vino che non fosse la lattina o il tetrabrick da succo di frutta, da bersi con la cannuccia (di questo siamo già molto grati alla wineinnovations..). Il vino è stato pensato nel suo contenitore per eccellenza: il calice, seppur di plastica. In secondo luogo questo prodotto ha un’utilità, un suo perché in quelle situazioni in cui bere del vino (allo stato dell’arte) è praticamente impossibile. Ad esempio ai concerti, alle manifestazioni sportive, durante i festival all’aperto ecc.
Detto questo si può discutere sulla scelta del sangiovese rosé, sul fatto che non esiste lo shiraz francese, ma solo il syrah francese e sulla qualità del vino, che peraltro non ho assaggiato dal momento che non è ancora disponibile sul mercato italiano. E’ pur vero che se vado allo stadio (per la musica, non certo per la partita) e ho sete e mi prendo una coca cola, non bado certo alla qualità del prodotto, sennò starei senza bere; perché allora dovrei lanciarmi in una crociata contro il “vinello” in questione? E infine ci si può interrogare sul perché The Italian Job, il colpo all’italiana, sia stato messo a segno dal signor James Nash, London UK.
Se mai arriverà  in Italia, è chiaro che non mi ci riempirò il frigo, né andrò a cercarlo nell’enoteca meravigliosa di qualche amico, ma se fosse disponibile, mettiamo caso a giugno, al concerto dei Coldplay lo prenderei sicuramente, visto che non bevo bibite gassate o zuccherate e l’acqua mi fa ruggine.
Unica nota dolente è l’inserimento del post nella voce “il vino lo porto io”: il rischio è che nessuno mi inviti più a cena per paura che rechi in dono una dozzina dei prefilled wine goblets.
Porterò i pasticcini non abbiate timore.

martedì 14 febbraio 2012

SAN VALENTINO

Dedicato a tutti gli uomini che per sempre, per poco o per sbaglio hanno a che fare con un ristoratore donna nel giorno di san Valentino e che intendono far felice a cena.
Sconsigliata la cena in casa del tipo “amore stasera cucino io per te”. E vero che un uomo ai fornelli è decisamente sexy, ma se tu non assomigli neanche un po’ a Anthony Bourdain le cose si complicano.. e sarai pure tenero con quella gota infarinata e anche buffo con quel grembiule costellato di frittelle, ma quante volte ti ho detto di non usare il cucchiaio su quel tegame che lo graffi?! Se fai così il cioccolato si brucia e poi diventa più amaro, e non usare il minipimer per la purea di patate! Ma questo non vi frena lo so, perché se coraggiosi avete scelto una ristoratrice andrete dritti come panzer.. (non male la metafora!). E se prevedete di concludere la vostra cena con dei baci perugina (fa niente se siete originali come una fotocopia), sappiate che son sempre graditi, purché non vi siano peluche o orsacchiotti annessi..
 Se invece optate per la cena fuori, correte meno rischi di certo, anche se, pure in questo caso non brillate per originalità. Ma noi ristoratrici al ristorante non diciamo mai di no, neppure se è la sera di San Valentino. Il godimento di sedersi dall’altra parte della barricata è indicibile sempre e comunque.. evitate però il menu dell’amore, io per lo meno, non riesco a digerire quei piatti stucchevoli come cardo d’amore, galeotto fu il biscotto, un gamberetto dentro il letto e affini.
Consigli questi ai quali potete non prestare troppa attenzione, cari maschietti, son certa che il più di voi farà una gran figura comunque, dal momento che questa sera gran parte di noi donne di ristorante starà a sgobbare per allietare il san Valentino di qualcun altro.

lunedì 13 febbraio 2012

USI INSOLITI DI UNA TAZZINA DA CAFFE’

A fine pasto servo regolarmente decine di caffè, dall’espresso regolare a quello in tazza grande per gli insaziabili, in vetro per gli alternativi, macchiato, corretto, alto, ristretto, americano e chi più ne ha, più ne metta. Tuttavia gli usi a cui mi riferisco niente hanno a che fare con il caffè a ciascuno il suo.
La tazzina a fine pasto si trasforma inesorabilmente in un portaoggetti: un posacenere, un porta stuzzicadenti usati, perfino un contenitore per fazzoletti di carta usati e gomme da masticare.
Per altri diventa una sorta di compostiera in cui gettare briciole di pane, zucchero, il cioccolatino morsicato..
Non ho osservato una simile fantasia di utilizzo in nessuna delle altre stoviglie presenti sulla tavola –se si fa eccezione per le stoviglie che vengono usate per mangiare/giocare dai bambini-.
Forse la tazzina del caffè simbolo del fine pasto, preannuncia l’ora in cui ci si può sbracare..? o forse è la chiara manifestazione di una conversazione noiosa che costringe a raccogliere tutte le briciole sparse sulla tovaglia per tenere gli occhi aperti o a contare i chicchi di zucchero presenti in una bustina monodose?

domenica 12 febbraio 2012

BACCALA'..AL CAVOLO NERO

Barbara Bonaccini
Un nuovo modo di cucinare il baccalà durante i mesi invernali?
No tranquilli, nessuna ricetta, per quelle ci pensa la nostra chef calembour.
Io mi limito a stuzzicarvi il palato con il racconto della cena a base di baccalà che si è svolta qualche sera fa al ristorante Il Cavolo Nero.
Serata gelida con vento sferzante e qualche timido fiocchino di neve che sfarfallava; insomma una di quelle serate in cui non usciresti neanche morta se…… se per l’appunto non avessero organizzato una cena a base di uno dei tuoi piatti preferiti in uno dei ristoranti della tua città che è da un sacco di tempo che vorresti provare e ancora non lo hai fatto per una delle solite scuse che solitamente ci raccontiamo: questo mese ho speso un sacco, questa settimana sono stata sempre fuori, se continuo così mi ritirano la patente etc etc.
Stavolta c’era la scusa del tempaccio…ma la curiosità è stata più forte e non ho avuto di che pentirmi.
Prima di tutto per l’ambiente del ristorante, intimo e famigliare al tempo stesso, un angolo fuori dal mondo a due passi dalla modaiola e vivace Piazza del Carmine; per la frizzante compagnia dei giovani Giada e Niccolò di We Wine organizzatori della serata a rappresentare l’azienda vinicola Zanotelli della Val di Cembra che ha offerto i vini in abbinamento. Per il servizio attento e affabile di una delle patron  Anastasia con cui  siamo inevitabilmente finite a parlare di vini, profumi, abbinamenti, mele golden, mele verdi e paesaggi trentini.
E soprattutto per lui, Sua Maestà il Baccalà, nelle sue varie declinazioni.
Delicatissimo nella crema calda con concassé di pomodoro; succulento e gustoso nelle Quenelles con crema di patate e pesto al basilico, sposato meravigliosamente, al verace Muller Thurgau dell’azienda Zanottelli.
Di grande effetto cromatico i ravioli al nero di seppia ripieni di baccalà con burro e besciamella alle erbe aromatiche; piatto delicato al primo impatto, in realtà bello strutturato. Come il vino a cui era abbinato: un Pinot Grigio, timido nei profumi e al primo sorso, ma che mostrava poi struttura e sapidità non banali.
Cambio di registro con il secondo piatto; messo da parte il suo lato….diciamo più femminile , il Baccalà si presenta come lo conosciamo bene noi toscani: intero nel suo filetto, alto, polposo  saporito anzi direi proprio…..salato!!!
E con questo filetto panato alle olive nere su purea di ceci è stato ben azzardato un Pinot Nero, fresco, minerale, profumatissimo di frutti rossi  e di  rose.
Meno male il gelo non mi ha fermato, anzi non vedo l’ora che arrivi l’estate per tornare a Il Cavolo Nero  e cenare nel delizioso dehors sotto il gelsomino, magari  a lume di candela magari in  dolce compagnia….. 
Oibò ma allora devo darmi da fare che siamo già  a febbraio e i mesi… volano J

sabato 11 febbraio 2012

BOLLICINE D'ITALIA

Il 20 e 27 febbraio alle ore 21, presso i locali della sezione Soci Coop Firenze di via V. Emanuele, si terranno due incontri dedicati alle bollicine italiane.
Le serate saranno guidate dalla sottoscritta e dell’amico Simone e ad  ogni incontro seguirà la degustazione di sei tipologie di vini spumanti, dai Metodo Classico agli Charmat, passando per qualche particolarità. Saranno serviti stuzzichini in abbinamento ai vini, realizzati dal Ristorante Il Maccherone di Pontassieve (ma guarda un po’..).
Il costo di ogni serata è di 20€. Parte del ricavato sarà devoluto alla Fondazione Il Cuore si scioglie.
Per info potete consultare l’Informatore di febbraio.
Prenotazioni entro il 17/02
c/o Sez. Coop via V. Emanuele 192,
0554376343 oppure 3398426143 

venerdì 10 febbraio 2012

LA COPPIA BIODINAMICA: RODEZ – BEAUFORT

Barbara Bonaccini
Della ventina di champagne già assaggiati al corso alcuni mi sono rimasti nel cuore confermandosi portatori di piacevoli, talvolta stupende sensazioni. Come i vini di Jacuqes Beaufort e di Eric Rodez: entrambi biodinamici entrambi di Ambonnay entrambi capaci di arrivare al cuore pur con champagne talmente diversi che potremmo definire antitetici.
Ambonnay comune a sud della Montagne di Reims è famoso per l'alta qualità del suo Pinot Noir con cui si ottengono champagne solidi strutturati con cui accompagnare tranquillamente un intero pasto.
Qui troviamo questi due piccoli produttori (RM récoltant manipulant come si chiamano in gergo) che hanno scommesso sulla biodinamica come filosofia produttiva (Beaufort per necessità a causa di alcune intolleranze alimentari).
Amici nella vita, legati da profondi stima, hanno un carattere totalmente diverso. Schivo, preciso e meticoloso Eric Rodez; loquace, arruffato, estroso Jacques Beaufort (in etichetta compare ancora il nome del padre André). Caratteristiche che puntualmente ritroviamo nelle bollicine dell'uno e dell'altro.

Nitidi, misurati, eleganti i vini di Rodez. Ineccepibile il Millésime 2002 GC con un ventaglio aromatico molto fine di frutti rossi, patisserie, vaniglia e una straordinaria perfetta corrispondenza al sorso. Un vino lungo lunghissimo che mi ha preso anima e corpo.
Intrinsecamente "champagne", espressione di tutta la gessosità del territorio il Dosage Zero GC:  qui  la scura fruttosità del Pinot Noir  giganteggia regalandoci un vino di carattere  in perfetto equilibrio fra struttura e freschezza. Vi confesso che io lo proverei su una succulenta fiorentina.
Si dice Ambonnay si pensa Pinot Noir, in realtà trattasi di terra benedetta, baciata da Dio e...(proprio per questo) dal sole e qui viene bene anche lo Chardonnay, sebbene sia meno popolare. E la prova ce l'ha data l'Empreinte de Terroir, Millésime 1995 GC : 100% Chardonnay. Ricco di note terziarie al naso (burro di arachidi, sottobosco, pietra focaia), mi ha sorpreso per una freschezza ancora ben presente e integra, a bilanciare perfettamente la rotondità e pienezza del vino. Uno champagne di corpo e anima che non passa inosservato.

 Schietti, irruenti, sempre diversi da un'annata ad un'altra i vini di Jacques Beaufort. Imprevedibili e sorprendenti già quandi li avvicini al naso per quelle note si potrebbe dire lievemente e graziosamente ossidate che o ti intrigano o ti lasciano spiazzato. Champagne di sostanza, di materia, sostenuti sempre da grande acidità e con cui è davvero un piacere pasteggiare. Più irruenti i Polisy Premier Crus con uve provenienti dall'Aube, più equilibrati i Grands Crus di Ambonnay.
Champagne che non accettano compromessi: o li eviti o li adori. Io li adoro!

giovedì 9 febbraio 2012

L'ANIMA DELLO CHAMPAGNE

 Barbara Bonaccini
L'occasione ghiottissima e imperdibile di assaggiare 10 champagne a serata mi è data da un seminario sullo Champagne organizzato in questi giorni dalla delegazione Ais di Firenze. Quattro serate dedicate si alla storia, al metodo di produzione, al terroir, alle caratteristiche,  un po' di sana teoria non guasta, ma dove tantissimo spazio è lasciato alla degustazione. Come d'altra parte insegnano i francesi e da tempi certo non sospetti se un personaggio di grande acume politico come Talleyrand (1754-1838) suggeriva un simile approccio con le deliziose bollicine:
 "bisogna contemplarlo a lungo, poi ve lo avvicinate, lo inspirate e, con un gran sospiro, potete immaginare tutto quello che suscita in voi, calore, tenerezza, quiete...Allora...posate il bicchiere...per parlarne"
 Messi fortunatamente da parte schede, punteggi, termini tecnici Ais, ci lasciamo guidare da loro, gli champagne, e dalle sensazioni che ci evocano. Troveremo allora vini che ci colpiranno per la loro grande vivacità e nervosità o al contrario vini più discreti e sottili che con la loro tenerezza vanno dritti al cuore. O, magari nelle grandi cuvées, vini di grande stoffa, affascinanti nella loro rotonda sensualità fino ad incontrare quelli che per la loro complessità riescono a prenderti l'anima...quelli che come il primo amore non si scordano mai!

mercoledì 8 febbraio 2012

IDENTITA' GOLOSE SECONDA PUNTATA

L’attesa è per lui, lo chef con la marcia in più: Bottura. Il suo intervento ripropone alcuni spezzoni del video del viaggio di un anguilla, che presentò su questo palco l’anno scorso, cui segue un excursus storico degli ultimi anni alla Francescana, attraverso alcuni dei suoi piatti simbolo. Dei 1200 assaggi preparati dietro le quinte, non me ne arriva manco uno, accidenti a quelli delle prime file!!
E quindi sfilano sotto il mio naso, nell’ordine:
spuma di mortadella con gnocco croccante
la pasta e fagioli compressa
un anguilla risale il fiume Po
una faraona non arrosto
il bollito non bollito
il croccantino di foie gras
Manca l’idea nuova? Dove è il nesso con “oltre il mercato”? qualcuno si è chiesto dopo il suo intervento. Io credo che come me in quella sala, sul momento, nessuno si sia fatto questa domanda, ma che ognuno abbia chiuso gli occhi e si sia fatto trasportare dalla voce narrante di questo uomo che è oltre lo chef. E non sono forse oltre i risultati ottenuti fuori dalla sua cucina? dopo il video del viaggio dell’anguilla la regione Emilia Romagna ha stanziato suon di milioni per la salvaguardia e recupero delle aree del delta del Po. Oltre è anche il suo progetto per il recupero di un istituto agrario, in cui combinare cultura contadina e cultura culinaria.
Il suo messaggio incoraggiante, “in Italia il comparto enogastronomia e turismo può diventare il primo del pil” è una manna per noi ristoratori comuni, abbiamo bisogno che qualcuno come noi ce lo dica, in questo momento decisamente critico. Grazie Massimo.

La sessione pomeridiana si apre con René Redzepi e la sua cucina nordica: Winter Was Mild. In questi giorni di freddo glaciale pare un po uno sfottò, tant’è che il bel René ironizza: “fa più freddo in Italia che in Danimarca..”. Assieme a lui il suo aiutante, un gigante 4x4, so called Rambo, accanto al quale the nordic chef appare minuto ed esile; ma è un concentrato di energia e di ironia, questo “ragazzo” dalla  faccia pulita e sguardo vispo.  Con un inglese perfetto, making little fun of himself , sforna 9 piatti. E conquista la platea con alghe, muschi, licheni, germogli di pino, bacche di non ho capito cosa e foglie di alberi che crescono in spiaggia. Ingredienti completamente sconosciuti per me, che mi lasciano senza fiato, di cui non riesco a immaginare sapori e consistenze. Talmente sono assorta che non riesco a prendere uno straccio di appunto.  No, non te ne andare René, with you today winter was really milder.. (continua..)

martedì 7 febbraio 2012

IDENTITA' GOLOSE PRIMA PUNTATA

Milano, Identità Golose. Congresso internazionale di cucina. Attendo da giorni e giorni questo lunedì di febbraio, ho acquistato il biglietto del treno con largo anticipo, ho effettuato la registrazione on line per l’ingresso,  e mi sono tirata a lucido ben bene.  Il grande freddo non mi fermerà, sfido ritardi e treni soppressi per la neve e alle 7.30 sono in stazione centrale. Il freccia rossa in arrivo da Roma ha una ventina di minuti di ritardo, che poi aumentano nel tragitto verso Milano.
E già mi gioco il primo intervento della giornata sul palco del congresso: Cracco. Porca miseria!
Per fortuna a Milano ci arrivo, è tardi, corro verso la metro, linea verde poi linea rossa -eddai sbrigati che sta per cominciare Paolo Lopriore!-. Non avevo messo in conto il km che dista tra la fermata del metro e l’ingresso della fiera, cioè non avevo pensato al ghiaccio sul marciapiede e alle mie scarpe col tacco.
Bye bye anche a paolino..
Mi consola il fatto che il programma di oggi è cosmic, da spasmic, quasi orgasmic..
All’ingresso c’è la fila, non si scorre manco a spingere...uffa se mi fanno perdere pure Italo Bassi e Riccardo Monco giuro che pianto un casino. Sotto i baffi me la rido pensando che non sarebbe poi così male essere portata via di peso che quei due super gnocchi che stanno all’ingresso.
Incredibile ma vero, riesco ad entrare nell’auditorium mentre Lopriore è ancora sul palco. Mi accuccio nelle retrovie in attesa che si liberi un posto a sedere.  Tolgo i guanti, la sciarpa, via il cappello e via anche la messa in piega, accidenti al Burian, non ho potuto sfoggiare neanche un sempre utile scollo..E mentre cerco di darmi “una parvenza”  scorgo a non più di 2 metri di distanza Beppe Palmieri, il punto G della Francescana (cit.), il maitre che vale uno chef (altra cit.); come in un cartone animato giapponese gli vorrei piombare addosso e sbaciucchiargli quella testa lucida in segno di riconoscenza per tutte le cose buone che ci fece bere in quel martedì  di dicembre in via Stella. Mi trattengo, penso che non ne valga la pena ,visto che i due che stanno di guardia all’ingresso della sala sono decisamente meno gnocchi di quei due buttafuori di sotto.
Individuo una sedia libera piuttosto in avanti e mi ci precipito. Stanno per salire sul palco gli chef dell’Enoteca Pinchiorri insieme a Bobo e Chicco Cerea, il cuore mi batte a mille per l’imminente carrellata di stelle..(continua..)

sabato 4 febbraio 2012

SCENE DA UNA CUCINA

“Ehi mamma da sabato avremo un nuovo aiuto in cucina, è un ragazzo, è originario dello Sri Lanka”
“Scilanka?”
“Sri Lanka..”
“Skilanka?”
“Ok mamma è cingalese.” E penso che mia mamma si immagini lo Sri Lanka come un posto candidamente innevato, pieno di chalet in legno di abete e omini di neve... Mi sbaglio, e lo conferma la sua successiva domanda: “ma è vicino all’Africa?”
“no è un po’ più a est..”
“no è perché nella foto è così nero nero che ho pensato..”
E’ arrivato in Italia dopo che lo tsunami del 2004 gli ha portato via tutto: la casa, la barca (faceva il pescatore).  La prima preoccupazione di mia mamma è stata quella di informarsi sui suoi gusti alimentari: gli piace la pasta? Chiedigli se vuole assaggiare un pezzetto di fegato, e così via..
Scopriamo che non gli piace il maiale, ma niente a che vedere con la religione. E’ con noi da poco tempo e la Lisetta (alias mia madre) gli ha già propinato l’arista al forno e le salsicce con i fagioli all’uccelletto. Le  ha mangiate con gusto, a detta di mia madre..
Da quando ha iniziato a lavorare al ristorante, lui e la Lisetta sono diventati inseparabili. Non fanno altro che parlottare e ridere in continuazione. Io mi chiedo cosa si diranno mai dal momento che lui non parla un tubo (o quasi) di italiano e mia madre non conosce una parola di inglese (eccetto quelle del ritornello di money for nothing dei Dire Straits).

giovedì 2 febbraio 2012

LA GRANDE FAMIGLIA DI MASO MARTIS

Barbara Bonaccini
Con questa neve mi scaldo il cuore e la mente pensando all’estate. Ed ecco il piacevole ricordo di un bel sabato d’agosto e di sole in Trentino.
Per la mia settimana di ferie, avevo deliberatamente optato per la Val di Sole:la valle delle mele  e delle acque sorgenti, lontana dal vino, tanto per staccare un po' la spina.  Salvo  l'ultimo giorno concedermi una puntatina a Maso Martis: bollicine di cui avevo sentito un gran parlare e che mi avevano tanto incuriosito.
 Al ritorno sarei stata di strada: perchè non fissare una visita? Occasione da non perdere, a maggior ragione – pensavo io – al termine di ferie che si preannunciavano "salutiste": coccole termali, letture, passeggiate nel verde, tutt'al più qualche stravizio a base di strudel e casolet.
Arrivo a Maso Martis al termine di una settimana mirabolante dove fra sentori di speck e formaggi di malga ho attaccato bottone con autoctoni simpatici e cordiali, pronti ad offrirti calici di Perlé per aperitivo come le fontane del paese la loro acqua fresca e dissetante. E, quel che è peggio (si fa per dire) ti invitavano pure a condividere la loro bottiglia di Giulio 2001 per salutarti, la sera prima della tua partenza :-)
Inebriata dall'effervescenza di quei giorni brevi ma intensi, guidavo verso Trento sorridendo e cantando, pensando di aver già ricevuto abbastanza da quelle valli e dalla loro gente. E invece...
mi aspettava ancora una sorpresa.
Roberta Stelzer, la proprietaria, mi accoglie sorridente nello spiazzo antistante la cantina dove su una lunga tavola il nonno pulisce il fresco radicchino dell'orto appena colto mentre in cucina una delle figlie e la nonna preparano il pranzo per i vendemmiatori. Sono fortunata, madre natura ha fatto doverosamente il proprio corso e  la vendemmia a Maso Martis è appena cominciata.
Roberta mi accompagna nel vigneto armata di macchina fotografica per immortalare uno dei momenti topici del loro lavoro e... me che pilucco chicchi di profumatissimo Moscato Rosa con la stessa aria divertita e soddisfatta di quando da bambina mi arrampicavo sull'albero del contadino a mangiare le ciliege.
Breve giro nella minuscola cantina: Roberta mi mostra le bottiglie a riposo sui lieviti come una madre mostra il proprio bambino che dorme nella culla. Solo buio e silenzio per l'affinamento, nessun rumoroso e brusco macchinario, tutto è affidato alle mani amorevoli ed esperte della famiglia, dal remuage al confezionamento.
 La ascolto e la osservo e penso che da tanta dolcezza e affettuosità non possano nascere che  bollicine  deliziose. E inevitabilmente la curiosità (e anche la sete) sale. Mentre sono assorta ad occhi chiusi a dare il primo sorso, Roberta mi chiede a bruciapelo: "Vuoi fermarti a pranzo con noi? Una cosa semplice e veloce per rifocillare i ragazzi in vigna".
Non so che faccia devo aver fatto: in un nanosecondo ricaccio dentro il no che forse buona educazione richiedeva. "Si volentieri" rispondo senza esitazione. E via di corsa anche io ad  apparecchiare la tavola per il pranzo della vendemmia come una di famiglia.
La ciliegina sulla torta della mia "spumeggiante" settimana di ferie in Trentino!

TE LE DO IO LE BOLLICINE!

Barbara Bonaccini
Così mi apostrofò mio padre più di due anni fa quando mi presentai a casa con  6 calici da vini spumanti: non ne potevo più di quelle tristi flutes così striminzite da intimidire la più coraggiosa delle bollicine ad esprimersi in tutta la sua aerea eleganza.
"Che c'era bisogno di portarne degli altri? Qui per far posto ai bicchieri si deve uscire noi di casa..."
 Da allora ne è passata di acqua, ops di vino spumante sotto i ponti: oggi mio padre beve bollicine esclusivamente in "quei bicchieri" e soprattutto beve bollicine!!! (non più solo col panettone, finalmente)
E allora, per tutta la contagiosa magia che sanno emanare, penso che si meritino uno spazio speciale ....che chiameremo appunto Te le do io le bollicine!